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28 maggio 2020

Cooperative compliance allargata

Nuova chance di accedere all’istituto dell’adempimento collaborativo (o cooperative compliance) per le società con fatturato superiore a 5 miliardi di euro. Con proprio Decreto del 30 marzo 2020, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha modificato l'ambito di operatività del citato regime (introdotto dal DLgs 128/2015), riducendo la soglia di fatturato necessaria per l’accesso da 10 a 5 miliardi di Euro, limitatamente alle istanze di adesione presentate nel 2020 e 2021.

Il Decreto ministeriale entrerà in vigore il prossimo 26 maggio, di fatto inaugurando la «Fase 2» dell’Adempimento Collaborativo. La «Fase 1», disciplinata dal precedente Decreto del MEF del 30 dicembre 2016 (e a sua volta preceduto da un progetto-pilota, a cui hanno partecipato imprese con fatturato sopra 1 miliardo di Euro), è terminata lo scorso 31 dicembre 2019 e ha interessato [..].

La Fase 2 si apre nel segno dell’ampliamento della platea dei soggetti che possono decidere di iniziare un’«interlocuzione costante e preventiva su elementi di fatto, inclusa la possibilità dell’anticipazione del controllo» con l’Agenzia delle entrate.

Per quante aziende questo abbassamento rappresenta un’effettiva opportunità? Stando al database Orbis di Bureau van Dijk, in Italia, secondo i dati aggiornati all’esercizio 2018, i soggetti con un fatturato oltre i 10 miliardi di Euro erano appena 23, mentre quelli con un fatturato compreso tra i 5 miliardi di Euro e i 10 miliardi erano 55. Potenzialmente il passaggio dalla Fase 1 alla Fase 2 dell’adempimento collaborativo permette di raddoppiare le imprese che possono fare richiesta d’accesso. Non va dimenticato che l’obiettivo del citato D.Lgs. 128/2015 è ancora più ambizioso. Infatti, una volta pienamente attuato il regime di cooperative compliance in Italia, secondo la citata normativa potranno accedervi le società che hanno fatturato oltre i 100 milioni di Euro. Ciò significherebbe una platea di ben 3927 soggetti. Si tratta di numeri rilevanti, che potranno essere gradualmente raggiunti, una volta che l’Agenzia delle entrate abbia provveduto ad organizzarsi per gestire efficacemente tale mole di relazioni.

A fronte di un ben riconoscibile sforzo organizzativo da parte dell’Amministrazione, anche alle imprese è richiesto un onere di carattere gestionale per avere la possibilità di esaminare congiuntamente e preventivamente tutte le situazioni suscettibili di generare rischi fiscali. Infatti, l’azienda che accede al regime deve necessariamente dotarsi di un adeguato sistema di rilevazione e gestione del rischio fiscale. Sul punto, l’OCSE è stata la prima organizzazione a dedicare una compiuta analisi alla gestione di tale rischio, pubblicando il report «Co-operative Tax Compliance - Building better Tax Control Frameworks», nel maggio 2016. Da allora, il Tax Control Framework (o TCF) ha progressivamente attraversato i confini degli ordinamenti nazionali, diventando lo strumento attraverso cui instaurare un rapporto di fiducia tra Amministrazione e contribuente, nella sede della cooperative compliance.

Nel proprio documento, l’OCSE riconosce lo sforzo organizzativo richiesto all’impresa, laddove ricorda che un TCF efficace richiede: i) consapevolezza del senior management circa la natura e la gestione del TCF stesso; ii) estensione della sua copertura di analisi per ogni operazione a rischio all’interno della vita dell’impresa; iii) forte coinvolgimento del dipartimento fiscale in-house nella sua implementazione; iv) costante monitoraggio della sua efficacia e conseguente aggiornamento (anche rispetto alle necessità dell’Amministrazione Finanziaria).

Al netto degli sforzi per entrambe le parti del rapporto tributario, l’adempimento collaborativo ha un forte potenziale, che può condurre ad una «verifica fiscale evoluta», basata su affidabilità e coerenza del TCF.

L’articolo scritto da Francesco Spurio, Partner presso Studio Tognolo è stato pubblicato Pubblicato su Italia Oggi il 14 maggio 2020.

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